– Avete presente Pinocchio quando ancora non era un bambino, vero? Era fatto di legno. Ma quello che davvero gli impediva di diventare un bambino vero era la mancanza di una coscienza. E il ruolo della coscienza era impersonato dal Grillo Parlante, che insegnava a Pinocchio a distinguere il bene dal male.
– Il Grillo era un cobrador – intervenne Clara.
– Sapete come si definisce nel linguaggio psicanalitico la mancanza di una coscienza? La sigla ufficiale è disturbo antisociale di personalità, ma tra noi chi ne soffre lo chiamiamo psicopatico.
– Stai insinuando che Pinocchio era uno psicopatico?
– Be’, le scene in cui si comporta da psicopatico non sono mai entrate nel film.
– È proprio questo il problema. Ci siamo abituati alla versione cinematografica dello psicopatico, folle e disturbato. Invece gli psicopatici sono furbi. Devono fare di necessità virtù e hanno un grande talento mimetico. Fanno finta di essere carini e gentili quando in realtà non provano nulla, solo rabbia e sete di vendetta. Si credono vittime di un’ingiustizia originale. Quello che vogliono lo ottengono manipolando le persone: non ricorrono quasi mai alla violenza. Gli psicopatici sono imperscrutabili. Bravissimi a recitare. È il loro grande talento. Sono credibili, riescono a farsi volere bene. A convincere le persone che il loro punto di vista è giusto e legittimo, anche quando tutto dimostra il contrario. Come Iago. È una specie di incantesimo.

Dedicato a tutti quelli che sono stati manipolati, danneggiati o feriti da uno psicopatico. Incontrato a una festa e innamorati del suo incantesimo. Trovato in famiglia come fratello, che finge di amarvi ma gli scappa l’odio ogni volta che si crede non visto e può colpirvi. Una madre invidiosa che riempie di fumo l’aria che respirate. A tutti voi auguro che un bel giorno arrivi un cobrador che, nel suo completo nero, con la sua impassibilità, si fermi davanti al vostro psicopatico e rimanga a fissarlo in silenzio, spostandosi con lui, senza mai lasciarlo andare, divenendo la sua silenziosa ombra scura che gli ricorda a ogni passo quanto scura sia anche la la sua coscienza.

Louise Penny in questo romanzo resuscita la figura del cobrador, personaggio realmente esistito, che veniva assoldato per seguire per strada chi non pagava i propri conti, in modo da rendere manifesta la loro situazione di debitori e spingerli, suscitando vergogna pubblica, a saldare i loro debiti. In questo romanzo però il cobrador non è proprio un esattore, ha più la funzione di spaventare e far provare rimorso a causa di una cattiva condotta. Il cobrador è la personificazione della coscienza che viene a bussare alla tua porta e ti ricorda che non hai agito bene.

In questo libro il cobrador è una sorta di vendetta, non violenta ma pur sempre vendetta, puntata contro colui che è stato la causa di un doloroso lutto. Ma le cose non vanno come previsto ed è così che le abilità investigative del commissario Gamache entrano in gioco. Questo è il quattordicesimo libro della serie poliziesca scritta da Louise Penny in cui il commissario è protagonista. Ma da un paio d’anni se volete avvicinarvi con ordine alle sue inchieste è possibile cominciare dai primi tre della serie, che sono stati finalmente tradotti da Einaudi.

Louise Penny (1958) è una scrittrice canadese e il suo Armand Gamache incarna le migliori qualità di quella terra: affidabilità, calma, razionalità, fedeltà… il commissario vive poi in una casetta in mezzo al verde nel piccolo paese (inventato) di Three Pines, molto vicino al confine con il Vermont USA, circondato dai boschi e abitato da pochi ma educati abitanti. Tutto ciò a un italiano sommerso dai recenti deliri politici di un paese confuso e incasinato fa venire una gran voglia di emigrare.

Louise, PennyCase di vetro, Einaudi 2019 (pubbl. originale 2017).