Sat wuguga, sat ju benga, sat si pata pata
Sat wuguga, sat ju benga, sat si pata pata
A sat wuguga, sat ju benga, sat si pata pata
Sat wuguga, sat ju benga, sat si pata pata
Hihi ha mama, hi a ma, sat si pata pata
Hi ha mama, hi a ma, sat si pata pata
Hi ha mama, hi a ma, sat si pata pata
Hi ha mama, hi a ma, sat si pata pata
Pata Pata is the name of a dance we do down Johannesburg way
Pata Pata è il nome di una danza che noi balliamo alla maniera di Johannesburg
And everybody starts to move as soon as Pata Pata starts to play
E tutti iniziano a muoversi quando inizia il Pata Pata
…
Every friday and saturday night it’s Pata Pata time
Tutti i venerdì e sabato notte è tempo di Pata Pata
The music keeps going all night long ‘till the morning sun begins to shine
La musica continua per tutta la notte fino a che sorge il sole
In questo video del 1967 Miriam Makeba aveva 32 anni e già da quattro il governo Sudafricano l’aveva esiliata dal paese a causa delle sue esternazioni contro l’apartheid. Solo nel 1990 sarebbe tornata a casa, nel Sudafrica di Mandela. Pata Pata, che in lingua Xhosa significa “tocca tocca”, parla di una danza tradizionale del Sudafrica e la Makeba la cantava sin dal 1957. Ecco le parole di Saviano su questa canzone e su Miriam Makeba, ormai per tutti e per sempre Mama Afrika.
“Questa canzone di Miriam Makeba, una delle artisti più grandi della storia musicale, si chiama Pata Pata. La conoscete tutti, è una danza che racconta di una ragazza che ancheggia, che muove il sedere. Racconta di questo, di una persona che sta danzando. Miriam Makeba era stata invitata a Castelvolturno, a fare un concerto [il 9 novembre 2008] in solidarietà dei ragazzi ammazzati dalla Camorra e in mia solidarietà, la cosa infatti mi lusingò tantissimo. Pata Pata, questo disco, possederlo in Sudafrica significava poter essere condannati dai tre ai sette anni per banda armata, possedere Pata Pata. Miriam Makeba, per aver scritto questa e altre canzoni, viene cacciata dal Sudafrica, è costretta ad un esilio di trent’anni, Miriam Makeba viene cacciata per questa canzone, trent’anni di esilio dal Sudafrica dell’Apartheid. Non è una canzone che parla di lotta sociale, non è una canzone che incita alla rivolta, non è una canzone che attacca i bianchi, non è una canzone contro il razzismo, ma mette paura perché è una canzone che parla di una ragazza che vuole danzare, una ragazza che vuole essere felice e come si fa ad essere felici con un governo così, con quel governo in Sudafrica, l’assioma è questo. Quello che fa mettere paura al governo, che fa allontanare Miriam Makeba è proprio questo, ascoltandola hai voglia di danzare, di essere felice, hai voglia di condividere la sua idea di mondo e quell’idea di mondo arriva al cuore, alle orecchie, allo stomaco delle persone attraverso la storia di una ragazza che vuole ballare, vuole ballare. Trent’anni di esilio hanno fatto si che Miriam Makeba fosse attenta a quello che accadeva in Africa, fosse attenta anche a quello che avveniva fuori dall’Africa. Una cantante abituata a teatri pieni, a stadi pieni arriva in un paesino sperduto del sud Italia, arriva a Castelvolturno fa questo concerto, lo fa in nome della diaspora africana, lo fa in nome di ragazzi ammazzati, lo fa in nome delle prostitute nigeriane che lei conosce benissimo, sa benissimo di questo problema lì a Castelvolturno. Canta Pata Pata, anche lì, chiude il concerto come faceva sempre e dopo muore, muore lì a Castelvolturno. Mi chiamano mi dicono che stava male, mi dicono che nonostante avesse delle fitte al costato ha voluto cantare e mi dice soprattutto, la persona che mi chiama, che c’è stato un profondo ritardo del soccorso, allora mi sento in colpa, mi sento in colpa perché Miriam Makeba era venuta anche per me, aveva scritto, mi aveva chiesto il libro, le avevo dato la dedica, ero stato contento del suo arrivo ma questa cosa cambiava tutto. La sua vita, incredibile “Mamma Africa”, non poteva finire a Castelvolturno, lei aveva combattuto per il suo continente, l’idea che si potesse essere spenta lì non mi dava pace. Allora a un certo punto decido di scrivere una lettera, anche un po’ di scuse, alla famiglia di Miriam Makeba e la pubblico sul “Times” di Johannesburg in Sudafrica. In questa lettera dicevo soltanto che mi dispiaceva, mi dispiaceva tantissimo, mi sentivo anche in colpa, mi sentivo in colpa perché Miriam Makeba era morta lontano dalla sua terra era morta lontano. La risposta venne due giorni dopo, mi rispose la famiglia mi disse: “ma non devi tormentarti Miriam è morta in Africa“.
Roberto Saviano
Splendida Miriam. Come con una semplice, canzone, leggera in altri contesti, si possa essere contro.
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Certe volte è troppo poco quel che basta per essere contro.
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Che bella storia (vera) che non conoscevo.
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Una vita vissuta pienamente quella di Miriam Makeba, proprio fino all’ultimo.
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