Remedios, niña pequeña, chiquita, hermosa, preciosa
Remedios, piccola cara, ragazzina, bella, dolce
Linda niñita quedada así, sentada en la orilla del mar
Splendida piccola rimasta così, seduta in riva al mare
Y las manos llenas de perlas
E le mani piene di perle
El sol en tu frente y en la sonrisa
Il sole in fronte e il sorriso
Blanca orquidea, alma y paloma
Bianca orchidea, anima e colomba
Y la alegría, tú cantas consuelo
E la allegria, tu canti la consolazione
Tú cantas esperanza, tú cantas Remedios
Canti la speranza, tu canti Remedios

La la la la la
La la la la la
La la la la la
La la la la la

Tu historia, una vez, nos la contó Dios
La tua storia, ce la raccontò una volta Dio
Tu hermanito con su guitarra,
Il tuo fratellino con la sua chitarra
Tú estabas dormida bajo la luna
Tu ti eri addormentata sotto la luna
Tú estabas feliz, pequeña Remedios
Eri felice, piccola Rimedios
Espera que un día yo pueda decirte:
Aspetta che un giorno io possa dirti:
“Te quiero pequeña, te quiero chiquita
“Ti amo piccola, ti amo piccola,
Preciosa niñita, piccola, piccola, piccola, pico, pico, pico, pico, piccola niña”
Preziosa ragazzina, piccola, piccola…

El sol en tu frente y en la sonrisa
Il sole in fronte e il sorriso
Blanca orguidea, alma y paloma
Bianca orchidea, anima e colomba
Y la alegría, tú cantas consuelo
E la allegria, tu canti la consolazione
Tú cantas esperanza, tú cantas Remedios
Canti la speranza, tu canti Remedios
Espera que un día yo pueda decirte:
Aspetta che un giorno io possa dirti:
“Te quiero, pequeña, chiquita, niñita preciosa
“Ti amo bene piccola, ragazzina preziosa
Piccola, pico, pico, pico…”
Piccola, piccola, piccola…”

La la la la la
La la la la la
La la la la la
La la la la la

Gabriella Ferri naque nel 1942 da una famiglia modesta a Testaccio, un quartiere popolare di Roma. Per lei essere testaccini significava essere speciali e Roma fu il suo vero grande amore, un sentimento che nemmeno il successo poté cambiare. Ecco la testimonianza di suo figlio Seva Borzak jr.: “Lei ha avuto un grande successo in Sudamerica, tanto che ancora oggi mi scrivono, mantengono i contatti con lei e con la sua immagine. Però il successo lei lo viveva non vivendolo. Non era una persona che cercava il successo, semmai era il successo a inseguirla. Non ha mai usato il successo, ha sempre vissuto così come ha voluto vivere, cioè come le persone semplici. Andava in giro a fare la spesa al mercato, poi si metteva a chiacchierare con l’ubriaco del quartiere che stava lì per terra, gli dava un po’ di soldi oppure ci si sedeva insieme a bere un quartino e altri incontri bizzarri. A volte tornava a casa con i sampietrini di Roma. Mi ricordo di una volta, suona il citofono, io avrò avuto 13 o 14 anni, ero già adolescente e un po’ insofferente: a ma’ che vuoi? scendi per favore mi serve una mano. Abitavamo a Campo dei Fiori, sopra il ristorante La Carbonara. Io pensavo fosse la spesa, invece era un cesto pieno di sampietrini. Lei aveva un rapporto d’amore con Roma, come se la città fosse una persona, e quindi aveva bisogno di avere oggetti, semplici, la strada di Roma presa e tenuta in casa.”

Gabriella Ferri amava moltissimo suo padre, ragazzo biondo e affascinante senza arte né parte che aveva sposato una signorina di buona famiglia. Per sbarcare il lunario girava per mercati a vendere un po’ di tutto, dai dolci alle lamette e incarnava lo spirito romanesco libero e vitale. Forse è proprio dall’amore per questo padre che nasce la sua passione per Roma. La madre si dovette adattare a fare la sartina per portare un po’ di soldi in famiglia e il marito, soprannominato Tacco per le sue abilità di ballerino, coltivava le sue velleità artistiche senza però riuscire mai a farne qualcosa. Quando nel 1975 il padre morì, Gabriella Ferri tentò il suicidio, nonostante fosse all’apice della carriera, sposata e già madre.

La sua carriera di cantante era iniziata nel 1964, quando incise il 45 giri La società dei magnaccioni insieme alla sua amica Luisa De Santis (figlia di Giuseppe De Santis, regista di Riso amaro con Silvana Mangano). Le due amiche, le chiamavano ‘le romanine’, cantavano nei cabaret italiani finché, all’Intra’s Derby Club di Milano, le vide Mike Bongiorno che le invitò alla sua trasmissione La fiera dei sogni dando il via alla grande popolarità e al successo che seguirono. Il disco vendette addirittura un milione e settecentomila copie trasformando Gabriella Ferri nella cantante del folklore romano.

“Questo era il suo marchio, contro il quale tentò molte volte di ribellarsi, anche con gesti clamorosi, come quello di rifiutarsi di eseguire canzoni romanesche suscitando le ire del pubblico che da lei voleva soltanto La società dei magnaccioni. Quel marchio le stava stretto e la confinava in una dimensione angusta e provinciale. Perché Gabriella Ferri non era solo voce, era anche una grande interprete. Aveva quel qualcosa di misterioso e difficilmente definibile che rendeva le sue interpretazioni di grande spessore e raffinatezza.” (Dalla trasmissione Ritratti di Giancarlo Governi).

Gabriella Ferri inizia poi a lavorare con il cabaret Il bagaglino mostrando una disposizione naturale alla recitazione. Collabora in quegli anni con Pippo Franco, Pino Caruso, Enrico Montesano, Oreste Lionello, Gianfranco D’Angelo. Anche la televisione la scopre, è estremamente telegenica, il suo volto espressivo buca letteralmente lo schermo, così conduce nel 1973 il varietà Dove sta Zazà, l’anno successivo Il Circo delle voci e nel ’75 Mazzabubù.

E qui comincia a rivelarsi la vera particolarità di Gabriella Ferri: una donna bella e formosa, bionda e con gli occhi azzurri, rinuncia alla sua femminilità e si traveste da clown.

Di lei Federico Fellini disse: “Gabriella Ferri è una voce, una faccia e un clown.”

Luisa De Santis: “La cosa straordinaria di Gabriella era la sua grande libertà, la sua “scorrettezza”, cioè questo prendere le canzoni così, come un mezzo. Lei prendeva una canzone e ne faceva un’altra, inventava una canzone sua, personale. Eravamo in macchina insieme, stavamo andando a fare una trasmissione con Gianni Minà e mi ricordo che incominciammo a canticchiare, erano tanti anni che non cantavamo più insieme e lei cantava una canzone pugliese che avevamo cantato insieme e ci piaceva molto ma la cantava tutta sbagliata, con delle parole tutte inventate e una musica assolutamente inventata da lei. Io le dissi non è così questa canzone e lei rispose be’ io la canto così. Era questa la cosa meravigliosa di Gabriella. Aveva un suo estro che andava assolutamente al di là dell’essere una romana temperamentosa. Diceva io vorrei essere Totò.”

“La libertà interpretativa, beffarda, iconoclasta di Gabriella Ferri che faceva anche di una canzone di non eccelsa qualità o di una vecchia macchietta napoletana una creazione assolutamente nuova e originale. Quasi un microdramma cui dava credibilità.” (Dalla trasmissione Ritratti di Giancarlo Governi).

Già intorno ai 35 anni la Ferri comincia ad esprimere la difficoltà crescente di confrontarsi con il pubblico e forse i suoi travestimenti, il trucco da pagliaccio, sono una sorta di arma di difesa, una maschera dietro la quale nascondersi. Ha periodi di crescente malessere, il suo umore diventa instabile e sceglie di apparire sempre meno in pubblico. Negli anni gli annunci dei suoi ritorni si rivelano quasi sempre inattendibili.

Gabriella Ferri non fece mai mistero della sua depressione. Panico e paura del pubblico, gioia, sofferenza, felicità, disperazione, un groviglio e un accumulo di sensazioni e di emozioni. Era una personalità unica, ma era senza difese: aperta, generosa e accogliente e totalmente in balia delle emozioni. Di sé scrisse: “Piango troppo e rido troppo.” Anche negli anni più difficili le rimasero sempre vicino i suoi migliori amici, Renzo Arbore, che aveva avuto con lei una breve relazione, Renato Zero, Gianni Minà e tanti altri.

Pippo Franco: “Il malessere che la tormentava l’ha tormentata sempre. Era un personaggio turbolento che viveva di alti e di bassi, di grandissime generosità ma anche di grande sofferenza nei confronti di se stessa. Mai meschina, mai povera, sempre veramente grandiosa, come se la vita fosse per lei a tinte fortemente colorate. Per cui era, in un certo senso, quasi annunciata questa sofferenza finale.”

Pier Francesco Pingitore: “Scriveva e disegnava molto bene ed erano proprio espressioni di un desiderio di tirar fuori qualche cosa che le rimaneva inespresso, che covava dentro di lei.”

Luisa De Santis: “Secondo me la sofferenza per Gabriella era non lavorare, non potersi esprimere. Il problema di Gabriella era quello di esprimersi. Aveva delle energie che doveva assolutamente tirare fuori, perciò quando era malata era come un animale ferito, diventava piccola piccola, io la sentivo delle volte al telefono che mi parlava di banalità, della fettina di carne e io pensavo no, non è possibile, una pazza, una donna come Gabriella non può essersi ridotta così, a queste piccole cose, poi però lei…”

Poi però lei morì nel 2004 a sessantun anni volando da una finestra di casa sua.

Il figlio di Gabriella Ferri, arcidiacono della chiesa ortodossa russa, e tutta la famiglia hanno sempre smentito l’ipotesi del suicidio, sostenendo che la cantante possa essere stata vittima di un malore, forse conseguente ai medicinali antidepressivi che prendeva. Non è stata trovano nessuna lettera di addio e sembra che Gabriella Ferri fosse, in quei giorni, molto interessata a partecipare a un programma televisivo al quale era stata invitata per il lunedì successivo.

Per volontà del sindaco di Roma, Walter Veltroni, la camera ardente venne allestita in Campidoglio dove migliaia di romani le resero omaggio.

Alda Merini, un’altra donna che ha sofferto il dolore buio dell’anima, all’indomani della morte della cantante scrisse una poesia per Gabriella Ferri:

Sei libera finalmente
da quei dolori del sogno
che danno trafitture e croci
da tanti sordidi amori
non ricambiati o forse
rifiutati per sempre
perché noi
con queste chiome sparse per terra
non facciamo che lavare i piedi
di coloro che non ci accolgono
La donna artista deve volare alto
ma non volevo che tu
avessi una brutta compagna
come la morte

Gabriella Ferri pubblicò nel 1974 la canzone Remedios, della quale lei stessa scrisse sia la musica che il testo. Nel 2007, a più di trent’anni di distanza, la Ferri ormai scomparsa, il regista turco Ferzan Özpetek la inserisce nella colonna sonora del suo film Saturno contro e il brano diventa improvvisamente un grandissimo successo. Purtroppo non sono riuscita a trovare un video nel quale sia possibile vedere Gabriella Ferri cantare dal vivo questa canzone.

Aggiungo quest’altra bellissima canzone, sigla finale di Dove sta Zazà. In questo video la vediamo cantare dal vivo, peccato solo per i titoli di coda che scorrono sul suo volto:

Sempre (1973)

Ognuno ha tanta storia
Tante facce nella memoria
Tanto di tutto tanto di niente
Le parole di tanta gente
Tanto buio tanto colore
Tanta noia tanto amore
Tante sciocchezze tante passioni
Tanto silenzio tante canzoni.

Anche tu così presente
Così solo nella mia mente
Tu che sempre mi amerai
Tu che giuri e giuro anch’io
Anche tu amore mio
Così certo e così bello
Anche tu diventerai
Come un vecchio ritornello
Che nessuno canta più

Scusate ma non posso lasciarvi senza un’ultima canzone, una delle preferite di Gabriella Ferri, perché parla di una prostituta ubriaca e, come abbiamo visto, alla cantante interessavano gli umili e i vinti, e poi perché scritta da Pier Paolo Pasolini, che lei stimava e verso il quale aveva una timidezza che non riuscì mai a vincere. Infatti quando la Ferri abitava a Campo dei Fiori sopra il ristorante La Carbonara, spesso vedeva Pasolini sedersi a un tavolo del locale per mangiare. In quelle occasioni scendeva di casa fingendo di dover fare una commissione solo per poterlo incrociare, ma non riuscì mai ad andare oltre uno scambio di sguardi da lontano, i due non si parlarono mai.
Pier Paolo Pasolini aveva scritto la canzone nel 1959 per lo spettacolo di Laura Betti “Giro a vuoto”.

Il valzer della toppa

Me so’ fatta un quartino
m’ha dato a la testa
ammazza che toppa
a Nina, a Roscetta, a Modesta,
lassateme qua!

An vedi le foje!
An vedi la luna!
An vedi le case!
E chi l’ha mai viste co’ st’occhi?
Me vie’ da cantà

Lassame perde, va da n’altra
stasera, a cocco, niente da fa!
E poi so’ vecchia, ciò trent’anni
e er mondo ancora l’ho da guardà !

Mamma mia che luci
che vedo qua attorno
Le vie de Testaccio
me pareno come de giorno
de n’antra città!
An vedi le porte!
An vedi li bar!
An vedi la gente!
an vedi le fronne che st’aria le fa sfarfallà !

Va via moretto, fa la bella
stasera godo la libertà ,
spara er Guzzetto e torna a casa
che mamma tua te sta a aspettà !

Me so’ presa la toppa
e mò so’ felice!
Me possi cecamme
me sento tornata un fiore de verginità !

Verginità ! Verginità!
Me sento tutta verginità!
Che sarà! Chi lo sa…