In questi giorni in Italia la pandemia di Covid-19 comincia a diminuire. Riaprono alcune attività, le persone cominciano di nuovo a incontrarsi. Abbiamo passato mesi di clausura durante i quali abbiamo guardato meravigliati le città restare immobili e le strade improvvisamente vuote, ascoltato un silenzio irreale galleggiare su tutto, sospeso e in attesa, sperando che l’unghia appuntita del morbo non arrivasse a graffiare anche noi. Abbiamo visto morire migliaia di persone, scene apocalittiche di camion militari chiamati a smistare bare, immagini di corpi inerti intubati nei reparti di rianimazione degli ospedali, i più fragili andarsene, a volte senza l’aiuto che una società civile dovrebbe a chiunque, senza che i più amati potessero star loro vicino in quel momento definitivo. Ma adesso gli ospedali ricominciano a respirare e con loro tutti noi, che abbiamo trattenuto il fiato fino ad ora.
L’umanità ha affrontato altre epidemie nel corso della storia, certo nessuna così estesa come quella che stiamo vivendo oggi, e anche nel passato la quarantena è stato il sistema più utilizzato per limitare il contagio e proteggere le persone. Ma sarà sempre stata applicata nel modo giusto la quarantena? Secoli fa l’umanità non possedeva le certezze scientifiche che fortunatamente abbiamo oggi, perciò chiudere una zona senza provvedere a riconoscere e isolare i singoli casi/focolai all’interno di quella zona, poteva addirittura essere controproducente, i contagi moltiplicarsi proprio a causa della promiscuità e dell’isolamento.
Questo è infatti proprio quello che è successo nella cittadina di Eyam, nel Derbyshire inglese, durante l’epidemia di peste del 1666. I coraggiosi cittadini del piccolo borgo presero la decisione di chiudersi dentro il paese per non esportare il morbo che aveva cominciato a manifestarsi tra loro. I più cinici tra noi obietteranno che sicuramente si sono isolati anche per non far entrare altri contagi… Fatto sta che il paesino restò isolato per più di un anno, tra la primavera del 1665 e l’autunno del 1666, e quando finalmente si riaprì al mondo i suoi abitanti scoprirono di essere rimasti gli ultimi e i soli a continuare a morire di peste, mentre il resto del mondo si era già ripreso e la vita aveva ricominciato a scorrere.
Il libro, che si ispira a questo fatto realmente accaduto, indaga su ciò che accade quando in una comunità si insinua il sospetto, quando la paura ottenebra il pensiero e la razionalità. La superstizione prende il sopravvento, crimini orribili possono essere commessi per disperazione, per stupidità, per vigliaccheria. Ciò che di peggio c’è nell’animo umano trova la via per manifestarsi.
Anna, la protagonista del romanzo è una ragazza di diciotto anni, già vedova e madre di due figli, che scampa miracolosamente al contagio e che il lettore segue mentre attraversa i lutti e le tremende fatiche della quarantena. Man mano che il morbo miete vittime le attività vengono abbandonate, i campi non sono più coltivati, il cibo scarseggia. E come curare questa malattia? Due donne sapienti, ovviamente marchiate come streghe dai loro concittadini, conoscono le erbe e le loro proprietà, ma non si salveranno. Anna scoprirà il loro mondo “mirabilis”, in un anno di tragedia che decreterà per lei il passaggio dalla passività della donna sottomessa e ignara, all’azione consapevole di una persona che sa scegliere per sé avendo il coraggio di usare la libertà.
Questo libro, pubblicato nel 2001, è stato un best seller internazionale e credo che oggi possa essere riletto con rinnovato interesse alla luce dei recenti fatti legati al Covid-19. L’autrice, Geraldine Brooks (1955), è nata in Australia ma ha sviluppato la sua carriera di giornalista e scrittrice negli Stati Uniti. È stata corrispondente di guerra per il Wall Street Journal e, successivamente, per il New York Times e il Washington Post, inviata in Africa, nel Medio Oriente, nei Balcani e soprattutto nel Golfo Persico. Nel 2006 ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa con il romanzo “March” (in italiano pubblicato con il titolo originale ma anche con il titolo “L’idealista”).
Geraldine, Brooks – Annus mirabilis, Neri Pozza 2003 (pubbl. originale 2001).
Bentornata! E con una lettura davvero interessante e molto coerente con quello che stiamo vivendo. Questo titolo me lo appunto. Grazie per averne parlato.
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Cara Pina, grazie e ben ritrovata! E’ bello essere di nuovo qui ❤
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Mi fa molto piacere leggerti e ritrovare le affinità del passato.
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Anche a me 🙂
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Non lo conoscevo! Grazie di averlo fatto conoscere
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Ciao Nonna Pitilla, benvenuta 🙂
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Grazie!
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Grazie della segnalazione, e della interessante recensione. Non ho mai letto questa autrice. Rimedierò
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Ciao Ivana, di questa autrice ho letto anche “March” (L’idealista) che ha vinto il premio Pulitzer, e “I custodi del libro”, entrambi molto belli. Forse tra un po’ recensirò anche quelli qui sul blog 🙂
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Bentornata! Seguirò il tuo suggerimento per questo libro
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Grazie Meteora! Spero che il libro ti piacerà quanto è piaciuto a me 🙂
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😉
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Sei tornata col botto cara Tratto. Questo libro l’ho amato davvero molto, come ne ho amato la protagonista e mi ha aperto un mondo su questa scrittrice che non conoscevo e che ha scritto anche L’Idealista e I custodi del libro. In questo periodo di pandemia forse non lo avrei letto però. Sono stata lontana da romanzi “a tema” che invece so hanno imperversato negli acquisti degli italiani. Sarebbe stato un sovraccarico eccessivo per me
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Ben ritrovata cara Pendolante. Abbiamo letto gli stessi libri di questa autrice! Affinità elettive 🙂
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Affinità “lettive” 😀
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Ciao! Fa piacere incrociarti digitalmente
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Ciao Enrico! Ultimamente sono stata poco sul blog, ma quando torno mi accorgo di quanto ci sto bene
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Bene! Benissimo! A presto
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