C’è una donna sola, in scena. Seduta su uno sgabello alto, quelli scomodi che nelle trasmissioni televisive continuano a proporre alle ospiti o conduttrici femmine con il solo scopo di farle stare con le gambe allungate, la schiena dritta e il sedere all’infuori, posizione innaturale che tanto giova all’immagine di una certa femminilità. La donna in scena è nuda, così che sia chiaro sin da subito qual è l’argomento, se già lo sgabello e la scena spoglia non erano stati abbastanza espliciti e, prima ancora che la donna abbia parlato, sentiamo un senso di disagio, una stonatura e comprendiamo con un fremito che tutto andrà come non dovrebbe andare.

La donna apre bocca e comincia a parlare con una voce insicura, trattenuta, incanalata nel naso verso una tonalità dolciastra e infantile. Le sue cosce sono troppo grosse e lei sbatte contro questo dato di fatto come una falena accecata da una lampadina. Le sue cosce grosse sono l’ostacolo definitivo alla vita felice, lei non potrà mai realizzarsi, perché quei centimetri di troppo la escludono per sempre, non ha la forma adatta ad essere apprezzata, le porte non si apriranno davanti a lei e tutte le possibilità alle quali vorrebbe attingere le sono precluse per colpa delle sue cosce.
Vittima consenziente e inconsapevole di una società dall’immaginario televisivo, che consuma e sputa, desidera diventare famosa e apparire, fosse anche in una pubblicità, essere riconosciuta alla cassa del supermercato. Ma sono gli uomini a decidere e lei è uno scarto, lo sa. E allora la voce carina, nasale e gentile, si trasforma, travolta dalla rabbia prorompe dalla gola e sgorga un grido che attinge dalla sola verità che sia possibile urlare: “Sono io, sono io, sono io”.

Ma neppure questi brevi squarci di consapevolezza bastano a restituire dignità alla sua vita, perché la donna è incapace di rialzarsi, di liberarsi, ancora e sempre desiderante l’approvazione di quel mondo che la classifica tra i corpi non adeguati. A niente portano i suoi momenti di ribellione, sono solo sfoghi e non c’è via d’uscita dal mondo posticcio e innaturale al quale aspira e nel quale annaspa. E in molti riconoscono in questo spettacolo un legame con quanto profetizzava Pasolini, una testimonianza del compimento del “genocidio culturale” a cui la società dei consumi avrebbe inevitabilmente portato.
Questo spettacolo, scritto da Cristian Ceresoli e interpretato da Silvia Gallerano è arrivato nel 2022 al suo decimo compleanno. Nato nel 2012 e subito tradotto in inglese, partecipa quell’anno al Fringe Festival di Edimburgo dove fa il tutto esaurito. Lo spettacolo vince numerosi premi e parte per un tour mondiale che comprende Londra, Roma, Madrid, San Paolo, Glasgow, Milano, Berlino, Vancouver, Vilnius, Lisbona e Adelaide. In ogni sua tappa fa il sold out e viene accolto come un grande evento rock. Silvia Gallerano lo interpreta in italiano e inglese ma il testo è stato tradotto anche in greco, danese, ceco, spagnolo, gallego, portoghese brasiliano, norvegese, svedese e francese, ed è in corso di traduzione in numerose altre lingue.
La merda – Cristian Ceresoli, 2012
Che potenza!
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Sì, molto potente, un monologo travolgente
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Se viene dalle mie parti lo andrò a vedere… e credo che dopo mi sentirò in colpa per essere un uomo. Grazie.
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Se passa da te vacci, te lo consiglio, ma ricorda che l’autore del testo è un uomo 🙂
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Chi meglio di un uomo può conoscere le nefandezze commesse dalla società dei maschi.
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…e fare ammenda con un testo così 🙂
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🙂
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