Hisham non aveva mai visto il mare. Se lo immaginava come un immenso deserto di sabbia, però fatto di acqua. Al posto delle dune, le onde alte e spumose che il maestro aveva mostrato loro in una foto tutta scolorita. Dietro i muri di fango di casa sua, comincia il deserto; ma quando soffia il ghibli – il vento da sud est – la sabbia si infila sotto la porta e sotto le finestre e si sente un odore acre, e la gola e il naso si seccano, e il deserto entra dentro casa, come se qualcuno lo avesse invitato. Sua madre lo tiene chiuso in casa, in quei giorni di vento infuocato, che taglia la pelle come una lama affilata, che buca gli occhi come uno schiaffo pieno di spilli.

Quando il vento non soffia e il sole non brucia la pelle, Hisham gioca per strada, a piedi nudi, con gli altri bambini: a palla, a rincorrersi, a salire sugli alberi veloci come le scimmie, a nascondersi dietro i grandi massi lungo la strada che attraversa il villaggio. Fino a quando il vento del deserto è arrivato come un nuvolone nero e appena la sabbia si è posata per terra, ne sono uscite grandi jeep, piene di uomini vestiti come soldati, le armi in mano; sparavano a tutto quello che si trovava fuori dalle case, uomini, bambini, animali, e tutti si buttavano per terra, e si sentivano urla e grida, e i vetri delle finestre schizzavano come scintille dal fuoco, e sui muri bianchi rimanevano strisce di buchi, e per terra pozzanghere di sangue. Hisham aveva chiuso gli occhi, come quando da piccolo non voleva vedere quella creatura spaventosa dietro la porta dei sogni, ma il rumore, quello non si poteva chiudere fuori, ormai era entrato dentro.
Fatia, sua madre, lo aveva agguantato sulla soglia di casa, e poi giù, sotto il pavimento, in un buco stretto stretto, coperto da un tappeto. E poi via, di notte; erano scivolati fuori nel silenzio rotondo, per un sentiero di pastori, stretti l’uno all’altra da una coperta nera, per essere un tutt’uno con quel mondo risucchiato dall’oscurità. Mentre camminavano, sua madre gli cantava sottovoce storie di lacrime d’amore, di uomini partiti e mai più tornati, di mogli che piangono dietro una finestra. Come lei, vedova senza nemmeno saperlo a vent’anni, con un figlio di sei, che aspetta il ritorno di un marito inghiottito dai pozzi di petrolio del nord di cui nessuno le ha detto. Camminano tutta la notte; nella fioca luce dell’alba, arrivano alla strada grande e si fermano sul ciglio; sua madre tira fuori l’acqua, i datteri e il pane secco. Si rifocillano e si rimettono in cammino.
Là in fondo c’è il mare. Gli dice Fatia.
Non ci voglio entrare nel mare, ho paura. Le risponde Hisham mentre si sfrega gli occhi arrossati.
Non ci entreremo dentro, ci andremo sopra, su una barca grande; non saremo soli, non avere paura. Sarà solo per un po’, poi scenderemo e non ci sarà più nessuno che spara. Staremo bene, là dove arriveremo, inshallah.

Anche Fatia non ha mai visto il mare. Ora che se lo trova davanti, ne sente l’odore, il rumore, il respiro affannoso di un uomo che corre, di una risata che si scioglie su un volto amato, che si affaccia sull’orlo del cuore. Ora sono in tanti, donne, bambini e uomini; qualcuno ha i vestiti strappati, la pelle bruciata dal sole o dalle frustate, i piedi piagati dai chilometri lasciati dietro la propria ombra. Dal mare arriva un barcone; lento si dondola mentre il fumo, spinto dal vento del mare, arriva prima di lui e riempie il naso di un odore acre, unto. La massa compatta di gambe, braccia, occhi e mani tremanti si avvicina alla riva, mette i piedi nell’acqua senza provarne sollievo. L’uomo al timone, in piedi urla, muove le braccia, Fatia a malapena capisce qualche parola, fa quello che fanno gli altri; Hisham aggrappato sulla schiena, le stringe il collo, le gambe ben avvinghiate alla sua vita. Si gettano in un angolo, vicino al bordo.
Un groviglio di speranze intorno a loro; cielo blu infinito sopra, mare che riluce sotto, schiuma che sale e scintilla di gocce e brucia le labbra.
Quanto dovremo stare qui, mamma? Domanda Hisham.
Poco, ti canterò la mia canzone preferita e ti addormenterai. Quando ti sveglierai saremo già arrivati. Gli risponde lei.
Fatia gli accarezza la fronte, la sfiora con un bacio leggero, che le lascia le labbra salate; guarda l’orizzonte, quel filo indeciso, quel confine vago come il futuro che li aspetta.


“7 mari” : testi di Pina Bertoli
Illustrazioni di Davide Lorenzon CRT2
Progetto I magnifici 7