Aki Kaurismäki, regista finlandese, dirige con la consueta leggerezza e l’onirico tocco surreale che lo contraddistingue questo film che parla di colui che scappa dalla guerra, di colui che dovrebbe accoglierlo ma non lo fa e di colui che non è obbligato a far qualcosa ma che, impassibile, la fa.

I protagonisti del film sono persone comuni, senza soldi, senza potere. Gente che pensa a sbarcare il lunario, a risolvere i problemi con la moglie, a lavorare. In buona sostanza gente che pensa agli affari suoi. Come il gestore di un ristorante, che non fa una piega quando il siriano Khaled Ali appare, avvolto nei cartoni che usa per dormire, proprio nell’angolino che gli serve per tenere i suoi bidoni della spazzatura. Quello spazio è suo, il siriano non può stare lì, perciò non sarebbe interessato a lavorare come addetto alle pulizie nel ristorante?

Ecco, questo è il classico esempio dello humor poetico e stralunato di Kaurismäki. Trovare soluzioni non eroiche, non sentimentali, ma solo umane: se i documenti sono indispensabili, allora si procurano; se la sorella smarrita di Khaled Ali viene rintracciata, allora bisogna andarla a prendere. Niente prediche, niente moralismi in un film fortemente politico ma totalmente poetico. Tutta la narrazione di Kaurismäki, che ha firmato anche soggetto e sceneggiatura, è misurata, ogni superfluo, che si tratti di parola, immagine o soprammobile, è stato eliminato, proprio come si fa nella poesia.

L’ottusità della burocrazia – che rigetta la richiesta d’asilo politico considerando che la situazione ad Aleppo non sia poi così grave e che il richiedente, Khaled Ali, possa tranquillamente ritornare nella sua casa bombardata, proprio mentre al telegiornale passano le notizie della devastazione della guerra – viene ridicolizzata dal ragazzino che tira su un po’ di soldi realizzando documenti falsi perfettamente uguali a quelli legali, creandoli con un semplice copia-incolla e una qualunque stampante a colori.

A fare da sfondo Helsinki, con i suoi cieli lividi e le strade bagnate, mentre nelle riprese in interno la scenografia mostra un design molto curato, fatto di arredi e colori anni sessanta, i quali danno un effetto straniante e fuori dal tempo, a confermare l’immobilità della storia e della condizione umana. E poi lo spirito da rockettaro di Kaurismäki, che non può mancare neanche in questo film dove, all’angolo della metropolitana, fuori dal bar oppure nel pub dove vai a bere una birra, compaiono vecchi musicisti che cantano lunghe ballate con la chitarra e se ne restano lì, la barba ormai bianca, a testimoniare una visione del mondo che fa risuonare le corde più profonde della tua anima.

Al Festival internazionale del cinema di Berlino 2017 del febbraio scorso Kaurismäki ha ricevuto l’Orso d’argento per il miglior regista: «Aki, che naturalmente non si è sottratto dal tradizionale show comico, invece di salire sul palco a ricevere il premio, è rimasto al suo posto e ha fatto scendere il presentatore con tanto di Orso in consegna a domicilio. Dopo la standing ovation del pubblico divertito, Kaurismäki ha preso la statuetta e l’ha usata come microfono per ringraziare. “Ladies and gentlemen thank you very much” si è limitato a pronunciare.» (Anna Maria Pasetti)

Abituati come siamo a proclami, scoppi di bombe, muri innalzati, campi profughi, confini e chiusure, un film silenzioso che apre la mente e il cuore.

Aki Kaurismäki – L’altro volto della speranza, Finlandia – durata 98′ – genere commedia, drammatico – 2017