Il secondo romanzo scritto da Donna Tartt è Il piccolo amico. Questo libro viene pubblicato dieci anni dopo il grande successo del suo primo, Dio di illusioni – qui la mia recensione – e le aspettative erano molto alte. Ma questo libro ha avuto meno successo del precedente, lasciando tiepidi gli estimatori e infiammando i detrattori. Ho trovato molte recensioni negative in giro per la rete, la maggior parte delle quali lamenta un eccesso di pesantezza nelle descrizioni, una fastidiosa inconcludenza e un finale che non dà soddisfazione agli appassionati del genere.
Sì, perché non dobbiamo dimenticare che ci stiamo muovendo all’interno di un genere ben preciso: la letteratura gialla, che prevede uno o più delitti, colpevoli da punire e magari un finale catartico. Il pubblico protesta se queste regole non vengono rispettate, soprattutto se hanno pazientemente seguito lo scrittore per 685 pagine nei meandri di dettagli che si sono poi rivelati inutili ai fini dell’indagine e, come non bastasse, i cattivi non vengono nemmeno puniti.
Io credo che questo libro non andrebbe appoggiato sugli scaffali della zona ‘Gialli’ nelle librerie. Penso che di giallo qui non ci sia quasi niente. Come nel suo primo libro, anche in questo Donna Tartt ci spiega subito, nelle prime righe, chi è morto e come, senza lasciare spazio alla suspance. Non le importa sapere chi è stato, lasciarcelo intuire, giocare a farci indovinare e tenerci legati alla lettura con queste tecniche. Quello che le interessa sono le conseguenze che quel delitto ha avuto, è di questo che parla tutto il libro. Perciò naturalmente il finale non è uno svelamento e non libera nessuno.
Un bambino di nove anni viene trovato impiccato al ramo di un albero del giardino di casa sua. Dieci anni dopo ancora nessuno sa chi sia stato né perché. Ecco che dunque, in pieni anni settanta, seguiamo le avventure di Harriet, la sorella dodicenne del bambino assassinato dieci anni prima, la quale ha deciso di vendicare suo fratello. Lei era molto piccola quando il delitto avvenne ma la sua vita è già irrimediabilmente segnata da quella morte.
Quel lutto ha gettato sua madre in una depressione così acuta da istupidirla, il padre ha abbandonato la famiglia. La madre vive tra il letto e il divano, incapace di accudire se stessa e tantomeno le due figlie che le sono restate. Harriet è quindi una bambina che, pur avendo una famiglia, in realtà è sola. Vive l’abbandono di un padre assente e di una madre malata. La presenza della nonna e di alcune vecchie zie non basta a rimediare a quel deserto affettivo. Soffre così tanto la sua situazione che decide che troverà l’assassino e lo ucciderà. E per compiere la sua vendetta avrà l’aiuto di un altro bambino, Hely, il quale, innamorato di lei, l’ammira incondizionatamente per la sua intelligenza e forza di carattere.
Anche in questo, come negli altri due romanzi della Tartt, ritornano i temi che le stanno più a cuore: quello della solitudine affettiva dei giovani ‘senza famiglia’; quello della mancanza di guide morali, assenza che, durante i giovani anni della formazione, può provocare danni irreparabili e moltissima sofferenza; quello delle responsabilità degli adulti, in particolare dei genitori ma non solo, nei confronti dei ragazzi che guardano a loro per capire cosa è giusto e in quale direzione andare.
Il libro ha effettivamente alcuni momenti stagnanti e forse certe lungaggini avrebbero potuto essere tagliate senza danno per l’insieme del libro. Forse. Resta il fatto che questo libro non va letto come fosse un giallo. Perché non lo è. Va letto con la delicatezza dovuta alla confusione mentale di un cucciolo d’uomo – la piccola Harriet – che sa molto bene cosa vuole ma non sa come ottenerlo. Finendo inevitabilmente per infilarsi in vicoli ciechi e prendendo abbagli clamorosi a causa della sfrenata fantasia dell’infanzia.
Donna, Tartt – Il piccolo amico, Rizzoli 2003 (prima pubblicazione 2002).
Intanto ho iniziato ilCardellino, portato a casa Dio di illusioni, poi arriviamo pure qui
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Buon divertimento
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Hai fatto una scorpacciata di Tartt in questi mesi!
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Quando mi piace un autore poi leggo tutto, o quasi, quello che ha scritto. Il primo a farmi questo effetto è stato Marquez, diverse vite fa. Ma anche Kundera, Pennac… A te non succede?
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Certo! Anch’io ho tanti autori di cui ho letto anche la lista della spesa…
Tracy Chevalier, Jonathan Coe, Nick Hornby, Marian Keyes, Cecelia Ahern… tutti in inglese.
Da giovane ero tutta sudamericana: Allende, Marquez, Coelho…
Mi piacciono molto i giapponesi, Murakami, Kazuo Ishiguro… però ahimé certi testi son troppo ostici per me, non importa in che lingua li leggo!
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Anch’io la Chevalier… poi la Allende, Amado… il Sudamerica era molto più letto qualche decennio fa.
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