Aveva dieci anni e faceva la quinta elementare. Era la più brava a scuola ma non lo sapeva. Viveva nella campagna spelacchiata del Campidano in quell’inverno tiepido e luminoso com’era giusto che fosse. Cinque case spuntavano nel nulla, un piccolo borgo senza storia costruito appositamente davanti alla fabbrica di piastrelle per le famiglie di continentali in transito, lontane sette chilometri dal paese più vicino. Qualche anno prima i suoi avevano accettato di trasferirsi al sud grazie a un contratto di lavoro molto conveniente, con l’incarico di avviare l’attività dell’enorme capannone industriale che si stagliava di fronte alle casette. Avrebbero dovuto restare poco, una toccata e fuga, giusto il tempo di mettere da parte i soldi per comprar casa una volta tornati al nord. Ma poi il tempo passava, altre famiglie arrivavano e se ne andavano e loro, invece, restavano. Con la sua famiglia impegnata al lavoro, lei trascorreva i suoi pomeriggi in completa solitudine, padrona di se stessa e libera di andare dove voleva. Accompagnava il pastore taciturno che portava le sue pecore a pascolare nelle campagne circostanti e le piaceva molto andare in giro con la bicicletta. Un giorno, durante le sue esplorazioni, scoprì addirittura una chiesetta rupestre diversi chilometri oltre una collina, era deserta ma stranamente aperta e tutta addobbata con bandierine colorate, ancora sporca della festa di chissà quale santo patrono. Quando restava in casa sfruttava quel poco che c’era per nutrire la sua curiosità, imparando a memoria le poesie di Leopardi nell’unico libro presente, ascoltando i dischi del fratello grande che già lavorava anche lui nella fabbrica: Lolli che aveva visto anche degli zingari felici e che, porca Eva, proprio a lui era toccato morire di leva; Branduardi che gli piaceva spettinato camminare col capo sulle spalle come un lume; Zappa che era un little pimp with his hair gassed back; Joni Mitchell che se ne stava sitting in a park in Paris, France e, soprattutto, Elton John che le confessava it’s a little bit funny this feeling inside. Quell’anno però c’era Minnie, la giovane moglie di un tecnico arrivato da poco ad avviare un nuovo macchinario per la ceramica. Minnie non lavorava e, con suo grande stupore, leggeva libri e parlava con lei. Stranamente non aveva l’urgenza, come tutti i grandi che conosceva, di mandarla via per tornare a occuparsi delle sue faccende. Le aveva addirittura proposto di fare i compiti insieme. Nel suo cuore di bambina solitaria si aprì una piccolissima finestrella e, attraverso le sbarre, riuscì ad insinuarsi il dubbio che una vita diversa fosse possibile. Una vita nella quale gli adulti si interessavano ai bambini e riuscivano ad avere un dialogo con loro, nella quale le mogli sorridevano ed erano anche contente di avere proprio quel marito, non come sua madre che lo malediceva ogni minuto, una vita nella quale qualcuno potesse voler bene anche a lei e dirle quanto era brava. Fu Minnie ad aiutarla a preparare il temuto esame di quinta elementare. Passeggiando sotto il sole ripassavano le declinazioni dei verbi irregolari e i nomi dei fiumi. I suoi genitori non seppero mai niente di quell’amicizia, non frequentavano quegli strani vicini che di sera andavano sempre in città a fare chissà cosa. Risultò pertanto incomprensibile ai loro occhi il regalo che Minnie le fece quando superò l’esame: una catenina con un pesciolino d’argento, le scaglie smaltate di un bianco brillante, prezioso ciondolo, costoso, come mai? Solo per un esame elementare? Lei disse grazie con la finestrella ormai senza sbarre, i suoi genitori dissero che non c’era bisogno e ringraziarono freddamente. Fu un’estate bellissima, mattine e pomeriggi a riposare con Minnie sulle sue lenzuola fresche, a passeggiare con lei di fianco al canale pieno di libellule, a raccogliere fichi dalle piante lì intorno e a decidere se fosse meglio leggere Ragazzi di vita o La ragazza di Bube. Ma presto l’estate finì e Minnie se ne andò, tornava in continente col marito. Al momento di dirle addio la piccola finestra nel suo cuore si chiuse di nuovo, non pianse nemmeno. Era ora di ricominciare la scuola, i suoi genitori le comunicarono che avrebbe trascorso i successivi tre anni in collegio, dalle suore del Sacro Cuore.
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Questo racconto partecipa agli EDS (Esercizi Di Scrittura) proposti da La donna Camèl
EDS – Bianco
Queste le regole:
– Mettici un pesce
– Mettici il bianco
– Stai dentro due cartelle (3600 caratteri)
Ecco gli altri blogger che hanno scritto racconti con queste stesse regole:
WonderDida: Lamento di una giovane morta e La solitudine del sabato
Il coniglio mannaro: Diffidenza
Singlemama: EDS in piccolo
Il pendolo: La favola del pesciolino bianco e del principe pescatore
Pernonsprecareunavita: Le diottrie del sig. Paolo
Michela: Il pesce contacaratteri
Gabriele: Petr e la su Mìlena
Che forza in questa bambina che sopravvive a un'infanzia maltrattata e scropre un orizzonte più lontano. Mi piace molto il tuo racconto
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I piccoli possono soffrire molto più di quanto si immagini, ma sanno anche essere molto resistenti, quasi sempre…
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Ero convinta di aver inserito un commento. Avevo scritto più o meno che è una storia delicata, ma non mi ricordo più le parle che avevo usato.
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Peccato…
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Un po' candido un po' intrigante
Minnie e il pesciolino fuor d'acqua
Brava comunque sia la storia
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Blog magna commenti credo sia tema dinamico dicevo b r a v a. E. N u o V a
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Grazie Angela 🙂 Non sono sicura però di aver capito… hai scritto “nuova”? In che senso?
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Ma che tu sappia la visualizzazione dinamica crea problemi con i commenti?
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Così è un po' un riassunto, meriterebbe di essere ripreso e ampliato – lo so, magari dopo l'eds 🙂 –
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Hai toccato con mano gentile un argomento molto delicato, brava
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Sono d'accordissimo. Ho fatto alcuni tentativi (questo era l'unico con un senso) il “corto” su commissione ancora non mi viene.
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Sì, anche per me è una traccia da sviluppare. Dovresti sentirti libera di lasciarti andare, perché quei due personaggi hanno tanta voglia di volare.
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Sì, proprio vero 🙂
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Grazie Lillina 🙂
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La forma breve purtroppo è così, ti costringe a rendere tutto immediato. Però mi è piaciuto comunque, Cali Kanto, molto delicato, e la scena delle lenzuola fresche, non so perché, mi è piaciuta molto.
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Grazie Gabriele, la brevità l'ho trovata difficile, ho bisogno di esercitarmi di più, ma sono contenta che ti sia piaciuto lo stesso.
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e quando non si piange nemmeno, è pure peggio!
sniff
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Vero, povera piccola 😦
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favola diversa, può essere interpretata in vari modi, io la vedo come una educazione sentimentale,: uno strano primo amore che per certi versi è materno per altri può essere qualcos'altro.. forse no, (ahhh quante parole per dire nuova)
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Più che un amore un'amicizia, con tutto l'amore che l'amicizia può contenere (spesso anche più delle canoniche relazioni amorose).
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La donna Camèl, come di consueto, dopo la pubblicazione di tutti i racconti che hanno partecipato a questo esercizio di scrittura da lei ideato e proposto, tira le somme e scrive una recensione su ciascuno. Ecco il suo commento a questo racconto:
Sai Cali, il problema della tua storia non è, credo, aver dovuto sacrificare il testo per renderlo più corto, ma come dice Dario, averlo voluto riassumere invece che mostrare per immagini. Quei due o tre brevi squarci che ci lasci intravedere – le lenzuola fresche, i fichi raccolti dalla pianta – bastano a far capire quello che serve. L'hai già fatto, lo sai fare, lo farai ancora e sempre meglio.
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